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La foresta amazzonica è la foresta pluviale più grande del mondo e rappresenta la metà dell’estensione della foreste di questo tipo sul pianeta.
Estendendosi su 8 paesi del sud America (Brasile, Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana Francese), l’area della foresta amazzonica è di circa 6,5 milioni di chilometri quadrati, ha un valore ecologico e ambientale tale da farle meritare il titolo di “polmone verde della Terra”. Questo nome però non è solo un titolo onorifico: questa foresta ha la capacità di influenzare il clima planetario; nel bene e nel male.
Nonostante questa importanza, è costantemente minacciata e perde estensione a velocità a dir poco allarmante.
Tra deforestazione selvaggia, siccità, incendi e l’impatto dei cambiamenti climatici, la foresta amazzonica è sottoposta a minacce continue. L’ipotesi che l’intero bioma possa superare presto il punto di non ritorno, cioè il limite di sopportazione oltre il quale un sistema biologico collassa, è sempre più concreta.
La sua distruzione sistematica e meccanizzata è iniziata negli anni ‘70, abbattendo alberi per fare spazio a pascoli e terreni agricoli. Negli ultimi 50 anni, la foresta pluviale amazzonica ha perso circa 820.000 chilometri quadrati di estensione, pari al 20% della sua area originale.
Biodiversità minacciata
La foresta include una sezione del bacino amazzonico: il bacino idrografico formato dal Rio delle Amazzoni e dai suoi affluenti. Grazie a questa abbondanza di acqua, si pensa che nella foresta amazzonica possa vivere circa il 10% delle specie animali e vegetali attualmente conosciute. Inoltre, un numero imprecisato di nuove specie viene scoperto ogni anno da scienziati e ricercatori.
In Amazzonia vivono circa 400 specie di mammiferi, più di 800 specie tra rettili e anfibi, 1.300 specie di uccelli, 3.000 specie di pesci e più di 2 milioni di specie di insetti. Per quanto riguarda il regno vegetale, nella foresta amazzonica vivono circa 16.000 specie di alberi e oltre 40.000 specie di piante ed erbe.
Purtroppo è risaputo che numerose specie animali e vegetali che la abitano sono in via di estinzione, oppure già perdute, alcune senza nemmeno essere scoperte.
Perché la foresta amazzonica influenza il clima?
Per la sua grande estensione e ricchezza di biodiversità, la foresta amazzonica può influire sugli equilibri climatici del nostro pianeta. Questa foresta è una grande fonte di ossigeno, ed è in grado di assorbire moltissima CO2 che le piante utilizzano nei naturali cicli biologici. Si tratta di un importante strumento per controbilanciare le emissioni di uno dei più impattanti gas serra e combattere l’aumento delle temperature terrestri.
Purtroppo però, negli ultimi anni questa funzione di polmone per il mondo è stata compromessa: la deforestazione sistematica è diventata la proverbiale “goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
Recenti studi suggeriscono che alcune parti dell’ecosistema tropicale ora rilasciano più carbonio di quanto ne trattengono.
L’Assorbimento ed emissione di CO2 è solo uno dei modi in cui questa giungla influenza il clima globale. Le attività dell’Amazzonia, sia naturali sia umane, alterano il bilancio carbonico della foresta pluviale in diversi modi, riscaldando l’aria e rilasciando numerosi gas serra.
Il prosciugamento delle zone allagate, e la compattazione del suolo causati dalla deforestazione, aumentano le emissioni di ossido di azoto (N2O). Questo gas serra è più pericoloso della CO2 perché ha un potenziale di riscaldamento 300 volte superiore ad essa, in quanto molto più efficace nel trattenere il calore.
Dovrebbe essere superfluo sottolineare che gli incendi di disboscamento sono causa di emissioni di carbonio e di riscaldamento atmosferico.
La deforestazione può influenzare le piogge asciugando e riscaldando ulteriormente la foresta, in un ciclo autoalimentante.
In questo articolo avevamo già parlato delle conseguenze della deforestazione della foresta amazzonica per le coltivazioni di tabacco.
Le inondazioni causate dalla costruzione di dighe per la produzione di energia idroelettrica rilasciano metano, emesso anche del bestiame allevato in pascoli ottenuti radendo al suolo ettari di foresta. Questo metano si somma a quello emesso dal ciclo naturale degli alberi dell’Amazzonia, che è circa il 3,5% di quello rilasciato a livello globale.
Il cambiamento è insanabile?
Tutti i fattori contribuiscono insieme alla degradazione della foresta pluviale, di conseguenza vanno affrontati in maniera congiunta.
Con lo studio sul cambiamento della foresta condotto dalla Federal University of Santa Catarina in Brasile, in collaborazione con esperti dell’Università di Birmingham, i ricercatori sperano che, comprendendo i più importanti fattori di stress nell’ambiente della foresta pluviale, si possa elaborare un piano per mantenere la foresta amazzonica resiliente.
L’autore principale Bernardo Flores, dell’Università di Santa Catarina, ha affermato: “I disturbi composti sono sempre più comuni nel cuore dell’Amazzonia. Se questi disturbi agiscono in sinergia, potremmo osservare transizioni ecosistemiche inaspettate in aree precedentemente considerate resilienti, come le foreste umide dell’Amazzonia occidentale e centrale“.
Gli stessi autori, sostengono che questo processo è reversibile. Tuttavia, hanno anche sottolineato quanto sia urgente regolamentare lo sfruttamento della vegetazione amazzonica e le relative attività di riforestazione; azioni necessarie per evitare che la foresta raggiunga il “punto di rottura” sempre più vicino.
La combinazione dei diversi fattori di rischio potrebbe far precipitare molto rapidamente la situazione, al punto che, secondo i modelli, entro l’anno 2050 circa il 47% della foresta amazzonica potrebbe subire un collasso ecosistemico. A quel punto, vaste zone dell’Amazzonia produrranno più CO2 di quanta ne potranno a trattenere.