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La Bioplastica

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Con il termine Bioplastica si indicano materiali plastici diversi tra loro per caratteristiche e origine, attorno alle quali spesso c’è una certa superficialità e confusione.

L’idea più comune, quando si legge il termine bioplastica su un involucro o su un prodotto, è che questo sia biodegradabile, ma non è sempre così.

Questo perché il prefisso “BIO-” può anche essere riferito all’origine della plastica e non alla sua biodegradabilità.

Le bioplastiche infatti, sono divise in 3 grandi categorie:

  • Plastica derivante parzialmente o interamente da biomassa, ma non biodegradabile;
  • Plastica derivante interamente da materie prime non rinnovabili, ma biodegradabile;
  • Plastica derivante in parte o completamente da biomassa e biodegradabile;

Date queste importanti differenze, alcune associazioni indicano le bioplastiche non biodegradabili come plastiche di origine vegetale o bio-based. Questo per dare una netta distinzione tra quei materiali che sono compostabili e quegli altri che pur essendo meno impattanti sull’ambiente nella loro produzione, non lo sono altrettanto nel loro smaltimento.

La distinzione tra materiali bio-based (a base bio) e biodegradabili.

Con il termine “biodegradabile” si intende un materiale che può essere degradato da microrganismi quali batteri o funghi, in acqua, da gas naturali, come l’anidride carbonica e il metano, o essere smaltito insieme alla biomassa. Ci sono materiali a base biologica che sono biodegradabili come il Pla (acido polilattico). Ma anche altri che, pur essendo bio-based, non sono biodegradabili, come Bio-pet, Ptt e Bio-pe. Analogamente, alcuni polimeri derivanti da fonti fossili come il Pbs, un polimero semicristallino fabbricato grazie alla fermentazione batterica, presentano la caratteristica della biodegradabilità.

Come si riconoscono le bioplastiche biodegradabili?

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L’aiuto più importante in questo senso viene da loghi ed etichette.

Questi sono il primo strumento per riconoscere i diversi materiali bioplastici, ma è importante che siano collegati ad un sistema di certificazione. La dicitura “biodegradabile” potrebbe non essere una garanzia. Questa infatti è corretta solo quando è legata a una norma che specifica le condizioni e il tempo di biodegradazione. Quando un prodotto soddisfa lo standard EN 13432 (informazione generalmente riportata sull’etichetta dell’imballaggio) è biodegradabile e compostabile e si può smaltire nell’umido. Lo shopper del supermercato è il classico esempio di materiale biodegradabile e compostabile, per questo riporta una scritta con il richiamo alla norma EN 13432.

Quali sono i pregi e i difetti della bioplastica?

Come ogni cosa, le bioplastiche hanno dei pro e dei contro.

Il primo e sicuramente più importante dei vantaggi è che sono meno inquinanti. In fase di produzione hanno un minore impatto di CO2 e altri gas serra rispetto alla plastica derivata dal petrolio, cosa che vale per tutti i 3 tipi di bioplastica. Le plastiche biodegradabili sono meno inquinanti in fase di smaltimento, data la loro compostabilità e capacità di degradazione. Riducono il volume dei rifiuti e la necessità di smaltire o riciclare materiali complessi che richiederebbero più passaggi e un maggiore sforzo energetico.

Un difetto delle bioplastiche è il maggiore costo economico di produzione rispetto alle plastiche tradizionali. 

Inoltre, sebbene le bioplastiche siano vantaggiose perché riducono i consumi di materie non rinnovabili e le emissioni di gas serra, potrebbero incidere negativamente sull’ambiente. Le materie prime per produrle consumano terra e acqua, utilizzano pesticidi e fertilizzanti e possono portare all’eutrofizzazione e l’acidificazione. Tuttavia, il suolo dedicato alle colture per bioplastiche è una piccola frazione del totale, un valore compreso tra lo 0,2 e l’1% dei territori agricoli. Sarebbe inoltre sbagliato definire i problemi sopraelencati, come esclusivi delle coltivazioni di materie prime per bioplastiche. Tali difetti sono comuni in una sbagliata agricoltura industriale. Errori identici a quelli che si fanno nella produzione agricola di cibo se non è effettuata con agricoltura integrata.

La questione porta a un altro difetto delle bioplastiche: alcune provengono da parti commestibili delle colture. Quando ciò avviene, le bioplastiche competono con la produzione alimentare perché le colture dedicate ad esse potrebbero invece nutrire le persone. Queste sono le bioplastiche di prima generazione. Alternativamente, le bioplastiche di seconda generazione derivano  da colture non alimentari, come materie prime cellulosiche, o materiali di scarto provenienti da materie prime di prima generazione, come scarti agricoli. Le bioplastiche di terza generazione utilizzano le alghe come materia prima.

mais bioplastica biodegradabile compostabile

Che giudizio possiamo dare alla bioplastica?

Al netto dei pregi e dei difetti che la bioplastica ha oggettivamente come materiale, tutto si riduce a come viene trattata. Se i prodotti bioplastici vengono creati, usati e infine smaltiti con criteri precisi e definiti essi sono un’alternativa ecologica alle normali plastiche derivate da materie fossili. Sta al comportamento dei produttori e consumatori finali. Se in fase di produzione non si applicano criteri ambientali conservativi, l’inquinamento del suolo è più elevato. Nel caso in cui lo stabilimento in cui la materia prima viene trasformata è molto lontano dal suo luogo di produzione, si avrà un maggiore inquinamento per il trasporto della biomassa. Se il consumatore finale non mette nel corretto contenitore dei rifiuti e disperde la bioplastica nell’ambiente, per quanto biodegradabile, potrebbe causare danni a flora e fauna terrestre o acquatica.

In definitiva, la bioplastica, seppur lontana dalla totale ecosostenibilità, può essere un valido alleato nella lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico.

Sta a ognuno di noi far sì che venga gestita in maniera corretta dall’inizio alla fine del suo ciclo.

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