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L’agricoltura integrata è una forma di agricoltura sostenibile, il cui scopo è un impatto ambientale ridotto e meno gravoso per il pianeta, pur mantenendo una buona resa di prodotto.
Riguardo tutta l’agricoltura, non solo quella integrata, c’è molta confusione, quando non vera e propria disinformazione, su quali sono le migliori pratiche agricole. Alcuni gruppi sostengono che un metodo di produzione sia migliore rispetto agli altri perché più “naturale” o rispettoso dell’ambiente, ma spesso queste affermazioni non sono supportate da dati reali.
Nel caso dell’agricoltura integrata tuttavia, la sostenibilità ambientale è uno dei suoi valori fondamentali. Questo tipo di agricoltura prevede l’utilizzo combinato di prodotti fitosanitari, pratiche tecniche, e attrezzature agricole a basso impatto, il tutto con l’obiettivo di creare un ciclo produttivo con la minor impronta ecologica possibile, pur mantenendo un elevata resa produttiva.
Tutto ciò rispettando normative e leggi sulla sicurezza e salute dei consumatori finali dei prodotti agricoli.
Caratteristiche dell’agricoltura integrata
L’agricoltura integrata prevede l’utilizzo delle risorse naturali finché queste sono in grado di sostituire adeguatamente i mezzi tecnici adottati nell’agricoltura convenzionale. Il ricorso a questi ultimi è previsto se e quando sono necessari per ottimizzare il compromesso fra le esigenze ambientali, sanitarie ed economiche.
Volendo semplificare molto il concetto: a parità di condizioni di resa di prodotto, si scelgono prioritariamente le tecniche di minore impatto ambientale e si escludono quelle che ne hanno uno elevato.
Gli ambiti in cui l’agricoltura integrata viene principalmente applicata sono quattro: fertilizzazione, disinfestazione, lavorazione del terreno e infine, difesa vegetale e trattamenti fitosanitari.
Fertilizzazione
In agricoltura integrata, la fertilizzazione è effettuata seguendo criteri conservativi della fertilità chimica. Cioè si analizza il terreno e lo si fornisce solo delle sostanze di cui necessita, quando ne ha bisogno, e per il tipo di coltura che dovrà ospitare. La concimazione minerale è consentita per mantenere buoni livelli di fertilità e di produttività delle colture. I criteri dell’agricoltura integrata sono applicati sfruttando nei limiti del possibile il ciclo della sostanza organica, affidandosi a tecniche che alla mineralizzazione preferiscono l’apporto al terreno di materiali organici. Il tutto, integrando i fabbisogni delle colture con la concimazione chimica. Per quest’ultima, le dosi, i tempi e la tecnica di applicazione devono essere effettuati con l’obiettivo di evitare i fenomeni di dilavamento e quindi l’inquinamento delle falde acquifere.
Disinfestazione
La disinfestazione, cioè il controllo delle piante infestanti, viene fatta favorendo tecniche che evitano il più possibile il diserbo chimico. Valide alternative in questo senso sono le false semine, le rotazioni colturali, il diserbo meccanico, ed altre tecniche che come le precedenti sono adottate anche in agricoltura biologica.
Il diserbo chimico, quando inevitabile, si effettua utilizzando principi attivi a basso impatto, poco persistenti o con una bassa azione residuale.
Lavorazione del terreno
Le lavorazioni del terreno sono effettuate rispettando la prevenzione della degradazione della struttura del terreno e l’erosione. Non ci sono limitazioni alle lavorazioni “tradizionali”, tuttavia sono molto utilizzate quelle tecniche più conservative come il minimum tillage, il sod seeding, l‘inerbimento, e altre tecniche che come le precedenti possono essere utilizzate in agricoltura biologica. Queste pratiche spesso non sono facoltative, ma imposte dai disciplinari di produzione integrata, soprattutto in quei terreni con forti pendenze, allo scopo di prevenire l’erosione ed il dissesto idrogeologico.
Difesa vegetale e trattamenti fitosanitari
La difesa dei vegetali è l’area in cui l’agricoltura integrata trova una maggiore applicazione. In agricoltura integrata la difesa vegetale si basa sull’impiego razionale di tecniche di agricoltura biologica, di prodotti chimici di sintesi, di mezzi bio-tecnici e agronomici.
La lotta integrata combina, entro i limiti del possibile, la lotta biologica con il monitoraggio della dinamica delle popolazioni di fitofagi e dell’andamento delle infestazioni. Seguendo questo metodo teoricamente, si agisce direttamente solo al superamento della soglia di intervento, secondo i criteri della lotta guidata e si utilizzano le biotecnologie (es. tecnica del maschio sterile, confusione sessuale, ecc.) e i mezzi biotecnici (uso delle trappole per monitoraggio e cattura massale, con impiego dei feromoni e altri attrattivi, reti antinsetto, ecc.).
L’uso dei fitofarmaci è consentito ma limitato, così da ridurre la quantità di prodotti chimici liberati nell’ambiente ed evitare l’impatto sugli organismi ausiliari. La scelta dei principi attivi da impiegare verte necessariamente verso prodotti a basso spettro d’azione o ad alta selettività, a bassa persistenza e a basso rischio di induzione di fenomeni di resistenza. In questo senso, si tende a preferire l’uso di prodotti di sintesi, i quali sono ad azione mirata e limitata rispetto a quelli biologici più generici.
Quadro normativo
L’agricoltura integrata fa riferimento alla direttiva europea 2009/128/CE, relativa al decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012, che ha istituito il “quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi”.
Diversi Piani di Azione Nazionali (PAN) sono stati istituiti per stabilire gli obiettivi, le misure, i tempi e gli indicatori per ridurre i rischi e l’impatto ambientale derivanti dall’utilizzo dei prodotti fitosanitari.
In Italia, Il Piano di Azione è stato adottato con Decreto Interministeriale 22 gennaio 2014 e promuove le cosiddette “buone pratiche” di utilizzo dei prodotti fitosanitari. Simultaneamente, ha lo scopo di fornire agli agricoltori le indicazioni necessarie affinché si riduca l’impatto dei prodotti fitosanitari non solo in campo agricolo, ma in tutti quei contesti in cui è necessaria la cura del verde pubblico.
Sempre in Italia, la legge n. 4 del 3 febbraio 2011, disciplina il Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata (SQNPI). Questa legge è fondamentale perché istituisce un marchio riconosciuto a livello comunitario per identificare quei prodotti ottenuti tramite produzione integrata.
Vantaggi dell’agricoltura integrata
In quanto forma di agricoltura ibrida, la produzione integrata porta a diversi vantaggi. Il più importante probabilmente, è l’orientamento verso l’ottimizzazione dell’impiego di risorse e mezzi tecnici. Uno degli obiettivi della produzione integrata infatti, è raggiungere il miglior compromesso tra produzione agricola e ricavi per l’agricoltore, senza sacrificare la salute ambientale e la qualità del proprio prodotto.
Seguendo questa “equazione”, l’agricoltura integrata vuole essere una sorta di compromesso tra l’agricoltura tradizionale e quella biologica. Molti esperti e professionisti considerano la produzione integrata la modalità più efficiente per realizzare un’agricoltura sostenibile, sotto gli aspetti del rispetto dell’ambiente e delle necessità produttive. Questo perché l’agricoltura integrata ottimizza l’utilizzo di risorse e mezzi tecnici per garantire quantitativi produttivi efficaci, produce raccolti sani e sicuri, conserva e protegge al meglio le risorse ambientali, osserva specifiche normative nazionali e comunitarie, segue specifiche linee guida e disciplinari, e misura i progressi conseguiti con dettagliati sistemi di autodiagnosi delle aziende agricole.
Confronto con altri tipi di agricoltura
Ora che sappiamo quali sono i principi e gli obbiettivi dell’agricoltura integrata, possiamo parlare di quanto sia performante. Data la sua natura di “unione” tra agricoltura tradizionale e biologica, in termini di rese agricole, consumo di acqua, e costi di produzione, l’agricoltura integrata, quando ben realizzata, massimizza i lati positivi e minimizza quelli negativi della produzione agricola.
L’agricoltura integrata ha rese agricole molto vicine a quelle dell’agricoltura tradizionale, a volte con una minima flessione, ma in molti casi praticamente indistinguibili. A differenza dell’agricoltura biologica che, a parità di estensione coltivata, ha rese dal 10 al 40% inferiori rispetto all’agricoltura tradizionale.
Le pratiche integrate, come la gestione della sostanza organica, la rotazione delle colture e la minima lavorazione del suolo, migliorano la struttura del suolo e la sua capacità di trattenere l’acqua. L’irrigazione è gestita con più precisione, basandosi sulle esigenze della coltura. Questo porta a un’efficienza idrica generalmente migliore rispetto al tradizionale, ma non quanto il biologico che fa della salute del suolo uno dei suoi pilastri.
I costi di produzione, così come gli altri parametri, sono solitamente intermedi tra il tradizionale e il biologico. L’agricoltura integrata fa un minore uso di prodotti chimici, come fertilizzanti e pesticidi, rispetto al tradizionale, il che può portare a un risparmio su questi. Tuttavia, necessita un investimento maggiore in monitoraggio, tecnologie per l’applicazione precisa dei prodotti, o pratiche agronomiche più costose in termini di tempo o manodopera rispetto al tradizionale puro. Non ha i costi di certificazione del biologico, ma potrebbe avere costi legati all’adesione a disciplinari specifici. Avendo rese di quantità più elevate rispetto al biologico, i costi sono “spalmati” su maggiori unità di prodotto.
Impatto ambientale dell’agricoltura integrata
In tutti i metodi di produzione agricola, non solo quella integrata, per misurarne l’impatto ambientale si calcola il “costo di produzione” per unità prodotta. Volendo, ad esempio, analizzare l’impatto ambientale della produzione di un kg di carote, si valutano gli elementi che sono stati necessari alla loro produzione: quanti gas serra sono stati emessi, quanta acqua è stata consumata, quanto suolo è stato necessario, il potenziale di eutrofizzazione, il potenziale di acidificazione del terreno ed infine l’energia necessaria.
L’agricoltura integrata è un tipo di produzione interessante dal punto di vista dell’impatto ambientale perché vuole essere un compromesso tra produttività e sostenibilità ambientale.
Questo è uno dei suoi punti di forza: nell’agricoltura biologica infatti, l’impatto ambientale è elevato sotto certi parametri come il consumo di suolo, l’eutrofizzazione, l’acidificazione del suolo, e le emissioni di gas serra, (soprattutto in alcune produzioni come quella cerealicola e di carne) proprio a causa delle limitate rese di questo tipo di produzione agricola. Se la resa è limitata infatti, il costo di produzione si redistribuisce su meno unità di prodotto, quindi a parità di quantità prodotta, l’agricoltura biologica può a volte risultare più inquinante di quella tradizionale.
Con l’agricoltura integrata però, si riescono ad avere rese più elevate, quindi l’impatto ambientale è distribuito su più unità di prodotto. Nella produzione integrata, non c’è un rifiuto di alcuni mezzi e prodotti efficaci che invece sono vietati nella produzione biologica. Viceversa non c’è l’obiettivo del produrre a oltranza come invece accade nella produzione tradizionale. In un certo senso, l’agricoltura integrata può adottare i vantaggi di entrambi i sistemi di produzione e limitare gli svantaggi, proponendosi come soluzione sostenibile sia dal punto di vista ambientale sia da quello economico e produttivo per contrastare il cambiamento climatico.