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Ogni volta che si parla di costruire un nuovo termovalorizzatore in Italia, l’opinione pubblica si spacca: chi sostiene che siano inquinanti, chi pensa che servano, ma non li vuole “dietro casa”, e chi invece li accetta. Ma come funziona e a cosa serve davvero un termovalorizzatore?
Molta gente pensa che i termovalorizzatori siano dei semplici inceneritori.
Gli inceneritori sono impianti il cui scopo primario è lo smaltimento dei rifiuti tramite un processo di combustione ad alta temperatura (incenerimento) che dà come prodotti finali un effluente gassoso, ceneri e polveri.
Gli impianti più moderni però, recuperano e utilizzano il calore sviluppato durante l’incenerimento dei rifiuti per produrre vapore. Il quale verrà sfruttato per produrre energia elettrica o come vettore di calore (ad esempio per il teleriscaldamento). Questi impianti con tecnologie per il recupero vengono indicati col nome di inceneritori con recupero energetico, o più comunemente termovalorizzatori.
Cos’è e a cosa serve un Termovalorizzatore
I termovalorizzatori sono a tutti gli effetti degli inceneritori. Ciò che li distingue è la loro capacità di sfruttare il contenuto calorico dei rifiuti per generare calore, riscaldare acqua ed infine produrre energia elettrica.
Servono quindi per bruciare i rifiuti che per la loro conformazione non possono essere riciclati. Bruciando tali rifiuti, il termovalorizzatore è in grado di produrre calore e energia da utilizzare sul territorio circostante.
Si parla molto del potere calorico dei rifiuti e del fatto che, per l’ambiente conviene più riciclarli invece che bruciarli.
Questo è vero per molti, ma non per tutti i tipi rifiuti. Ci sono infatti materiali che non si riescono ancora a recuperare, come i poliaccoppiati, ovvero materiali composti da più plastiche, o ad esempio gli avanzi di carta riciclata ormai troppe volte, che possono essere utilizzati solo come combustibili.
Nell’ottica di una riduzione della produzione dei rifiuti e del massimo recupero di materiali tramite il riciclaggio, la termovalorizzazione è l’anello conclusivo che consente di non mandare in discarica ciò che non può essere più recuperato in alcun modo, ma di impiegarlo per un’ultima ed utile fiammata di vita.
In totale, la quantità di scorie che rimangono nei termovalorizzatori di nuova generazione è ridotta del 30% rispetto a quella emessa dai vecchi inceneritori.
La termovalorizzazione è un processo largamente impiegato e accettato in tutta Europa: Germania, Svizzera, Francia ed in misura minore Danimarca, Belgio e Svezia.
Funzionamento
L’attività di un termovalorizzatore si può suddividere in 4 fasi:
- ingresso dei rifiuti
- combustione
- trattamento dei fumi di combustione
- espulsione fumi e ceneri
Prima fase, l’ingresso dei rifiuti
I rifiuti che finiscono nel termovalorizzatore vengono trattati, in modo da estrarne una sorta di combustibile che in seguito viene triturato e spedito nel forno.
I materiali che raggiungono questa fase devono prima essere passati attraverso una cernita e differenziazione. Ciò per accertarsi che tra essi non vi siano elementi che possano essere diversamente riciclati e che non arrivino all’incenerimento prematuramente.
Seconda fase, la combustione
Questa parte è quella più “calda”, poiché i rifiuti bruciano e, col calore ottenuto, si produce vapore per la generazione di elettricità. Qui i materiali sono bruciati a una temperatura di circa 1000° C. Ciò che resta dei rifiuti passa in una camera di post-combustione dove termina il processo vero e proprio.
Terza fase, il trattamento dei fumi di combustione
Una delle parti più importanti dell’intero processo, dato che si occupa del trattamento dei fumi per l’abbattimento degli inquinanti. Una caldaia recupera il potere calorico dei fumi che si accumulano in una camera apposita. Le apparecchiature presenti nel termovalorizzatore monitorizzano e tengono sotto controllo h24 lo stato dei fumi prodotti e in ogni momento è possibile conoscere esattamente cosa viene immesso in atmosfera.
Dalla caldaia di un termovalorizzatore escono in primo luogo energia e calore che possono essere recuperati in due modi: trasformati in energia elettrica per il territorio, oppure utilizzati per il teleriscaldamento, un metodo di riscaldamento dell’acqua che poi è convogliata direttamente al riscaldamento delle abitazioni civili o delle industrie della zona.
Quarta fase, l’espulsione di fumi e ceneri
Dalla caldaia però escono anche ceneri e altri fumi, pari circa al 10-15% del rifiuti inizialmente immessi nell’impianto. Le ceneri finali vengono poi inertizzate e spedite in discarica dove terminerà il loro viaggio. I fumi non si immettono direttamente in atmosfera, attraversano prima un sistema di filtraggio atto a renderli innocui in quanto potenzialmente pericolosi per l’ambiente.
Tutte queste fasi sono controllate da un sistema di monitoraggio e controllo attivo 24 ore su 24 per evitare incidenti ed il rilascio di inquinanti imprevisti nell’ambiente.
La situazione in Italia
Nel nostro paese nel 2020 erano presenti ben 37 inceneritori e tutti hanno la funzione di recupero dell’energia termica. Questo numero però è davvero esiguo se confrontato con quelli di altri paesi Europei, come la Germania (96) o la Francia (126). Paesi dove la coscienza ecologica è molto più attenta e vanta un’azione attiva già da molto più tempo rispetto alla nostra.
Secondo il rapporto ISPRA del Dicembre 2021, nel 2020 i rifiuti urbani inceneriti, comprensivi del CSS (Combustibile Solido Secondario), della frazione secca e del bioessiccato ottenuti dal trattamento dei rifiuti urbani stessi, sono stati più di 5,3 milioni di tonnellate. Circa il 3,6% in meno rispetto all’anno precedente. Dei rifiuti destinati all’incenerimento, circa una metà (2,7 milioni di tonnellate) era costituita da rifiuti urbani mentre la restante quota era rappresentata da rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani.
Nello stesso report si afferma che:
“Tutti gli impianti sul territorio nazionale recuperano energia; 24 impianti hanno trattato circa 3,2 milioni di tonnellate di rifiuti e recuperano quasi 2,5 milioni di MWh di energia elettrica. I restanti 13 impianti, invece, sono dotati di cicli cogenerativi ed hanno incenerito 3 milioni di tonnellate di rifiuti, con un recupero di oltre 2,3 milioni di MWh di energia termica e di 2 milioni MWh di energia elettrica.”
Considerazioni conclusive
In definitiva non si può certo affermare che un termovalorizzatore sia di per sé inquinante, semmai è il contrario. Se realizzato secondo i criteri per cui è nato, un termovalorizzatore è necessario per ridurre la quantità e la pericolosità dei rifiuti, cercando di sfruttare al massimo tutto il loro potenziale.
Bisogna però essere certi che il materiale inviato ad un termovalorizzatore sia prima passato attraverso tutte quelle fasi di riciclaggio e separazione dei materiali atte a dar loro un possibile nuovo utilizzo.
Se abbinato ad un’attenta e corretta attività di raccolta differenziata, il termovalorizzatore è l’ultimo anello della catena del riciclo. Il suo impiego produce energia e riduce il volume di rifiuti che finiranno nella discarica da cui non si sposteranno mai più. Il tutto immettendo in atmosfera la minor quantità possibile di sostanze inquinanti e pericolose per le persone e l’ambiente.